La Sharing Economy ha dieci anni!


La sharing economy ha dieci anni!

Era infatti il 2013 quando l’Economist dedicò la sua copertina di marzo alla nascita di una nuova forma di economia che, grazie allo scambio e alla condivisione dei beni, avrebbe portato vantaggi economici, ambientali e sociali: la sharing economy, o economia della condivisione.

In dieci anni molte cose sono cambiate anche a livello normativo, in Italia, per cercare di regolamentare e normare un fenomeno che via via era nei fatti.

La sharing economy si è frastagliata e ha creato filoni con nomi che si sono affermati nel tempo.

Ad esempio la gig economy, è la economia dei “lavoretti” di cui l’esempio più famoso è incarnato nella figura del rider.

Un lavoratore a tutti gli effetti che fa una attività che non necessita di particolari qualifiiche, senza un contratto regolare.

Molti governi italianai che si sono susseguiti in questi anni si sono impegnati a studiare il fenomeno e a cercare di regolamentarlo, a volte con effetti catastrofici per i quali grosse aziende hanno lasciato il campo, perchè impossibilitate a far fronte alla mole di italici adempimenti.

I servizi di sharing veri e propri invece prevedono la condivisione di un bene di proprietà che per sua natura rimane inutilizzato per molto del suo tempo utile. Casi sono la condivisione di divani, appartamenti, automobili, fino ai posti barca, alle colonnine dell’elettricità. Anche in questo caso il legislatore si è trovato impreparato a gestire dei veri e priopri affitti e noleggi che però non erano regolamentati da nessuna fattispecie di contratto.

La proliferazione di questo tipo di servizi e di conseguenza del numero di aderenti, sia sul fronte di chi eroga il servizio e di chi invece lo fruisce ha generato di fatto un nuovo mercato dove lo strumento per poter relazionarsi finanziariamente rimane la partita iva o, per piccole somme su base annua, altre forme di collaborazione non subordinata.

Ma la sharing economy, dopo dieci anni, ha dimostrato di non essere sempre conveniente, almeno per chi usufruisce dei servizi nel ruolo di colui che condivide un bene di proprietà: i ricavi a volte sono contenuti e possono essere soggetti a tassazione, i rischi di danneggiamento del bene o infortunio non sono coperti da nessuna forma assicurativa o assistenziale e restano a carico del danneggiato.

Una cosa è certa: la sharing economy ha modificato le abitudini di consumo spostando la volontà di possesso di un bene alla fruizione di una esperienza. La diffusione della sharing economy ha portato però ad un progressivo abbassamento della qualità del bene condiviso.

Il modello quindi mostra dei punti deboli e nuovi paradgmi sono alle porte per rivoluzionare di nuovo questo tipo di economia della condivisione.

E’ solo questione di tempo e ci vorranno sicuramente meno di dieci anni!